mercoledì 7 marzo 2012

Occorre ricucire un rapporto diretto fra Paese e governo

da “La Sicilia” del 7 marzo 2012



Il governo tecnico con il suo decisionismo ha reso ancora più evidente l’inadeguatezza degli assetti politici con cui il Paese ha dovuto fare i conti in tutti questi anni.
 Tanti, all’inizio, hanno visto in Monti un personaggio alternativo ai partiti della seconda Repubblica, e nel governo tecnico una sorta di governo dell’antipolitica. Così non è stato, perché lo stesso presidente del Consiglio ha più volte spiegato che alla fine del suo mandato l’iniziativa politica va restituita ai partiti.
C’è da chiedersi, però, come sarà il partito nuovo, e soprattutto come sarà selezionata la sua classe dirigente. Man mano che l’attuale governo si consolida, e i suoi orizzonti temporali si allungano, sono sempre più numerosi coloro i quali prevedono che le personalità oggi al governo potrebbero garantire una tranquilla transizione verso una nuova Repubblica, espressione di un rapporto rifondato tra la gente e la politica. In questo contesto, alcuni membri di questa compagine ministeriale potrebbero costituire il nucleo di una nuova classe politica, destinata ad operare in un sistema politico assai diverso da quel bipolarismo cosiddetto muscolare che tanti guasti ha prodotto nel corso di quasi un ventennio, e che appariva già clamorosamente fallito prima ancora che si insediasse il governo dei professori.
Oggi il governo si trova di fronte a scelte che richiedono una discussione pubblica che risulti davvero coinvolgente, perché si tratta di scelte che incideranno sulla stessa struttura sociale del paese. Non si può passare dai tagli alle misure finalizzate alla crescita, senza interrogarsi sul tipo di società che si vuole. La discussione pubblica su temi così impegnativi – bisogna mettersi d’accordo su come rifare l’Italia – ha bisogno di partiti che esprimano una precisa identità culturale, che abbiano programmi ed obiettivi chiari. Occorre stabilire un rapporto più diretto tra il governo e il paese, sapere ascoltare non solo i vertici delle diverse categorie, ma anche la gente comune.
 È questa un’attività nella quale l’attuale personale di governo, nella fase due dell’opera di risanamento, dovrà con convinzione impegnarsi, proprio per fugare il sospetto che i poteri forti abbiano una corsia privilegiata per arrivare al governo e condizionarne le decisioni.
 Questo sforzo pare ancora più doveroso, se si considera che all’interno della squadra di Monti si manifesta, magari in modo non esplicito, da parte di taluni ministri la disponibilità a scendere in campo per fare politica con i partiti che ci sono o con i futuri partiti dei quali si discorre. E sarebbe un bene per l’Italia che personaggi, finora apprezzati per competenze professionali e onestà personale, scelgano in prospettiva l’impegno politico a tempo pieno.
Questo Paese potrà essere finalmente un Paese normale se i sacrifici, che esso ha affrontato e dovrà ancora affrontare, serviranno non soltanto per rimettere a posto i conti pubblici, ma anche per ricostruire un robusto tessuto democratico. Se il governo saprà operare in modo tale da favorire questo tipo di riconciliazione fra paese e politica, esso sarà ricordato a lungo come il governo della rinascita italiana.
I partiti in questi mesi hanno fatto a gara per dimostrare lealtà nei confronti di Monti e per sostenerne in modo efficace l’azione, ma hanno anche dimostrato una totale assenza di strategia per uscire dalla crisi di rappresentanza che li ha colpiti. Parlano di riforme istituzionali e soprattutto di una nuova legge elettorale come di impegni ineludibili, ma paiono poco disponibili a cedere qualcosa sul terreno del potere che hanno conquistato grazie ad una legge elettorale che ha stravolto alcuni caratteri fondamentali di una autentica vita democratica.
Si tratta peraltro di partiti che continuano a navigare a vista, che vogliono una cosa oggi, per poi disvolerla il giorno dopo. Basti ricordare i giudizi sprezzanti del centrodestra su questo governo, presentato come il risultato di un’operazione quasi golpista. Ebbene, dalla stessa parte politica, oggi si auspica che l’attuale governo possa proseguire la propria opera anche nella prossima legislatura.
Monti finora ha avuto buon gioco nel rivendicare piena autonomia nei confronti dei partiti e delle parti sociali, ascoltando il loro punto di vista e, però, decidendo poi sulla base di priorità ritenute inderogabili. La mediazione, insomma, non è stata estenuante e sterile, anche se qualcosa su questo terreno inevitabilmente comincia a cedere . Il governo ha preso atto in più occasioni del fatto che partiti e parti sociali, più le seconde che i primi, sono restii ad accettare un’azione di rinnovamento che metta a rischio consolidate rendite di posizione. Il presidente del Consiglio ha spiegato che, comunque, intende portare avanti il suo programma fino al giorno in cui non tornerà alle sue vecchie occupazioni. E su questo terreno può contare sulla indiscutibile solidarietà di tutti i suoi ministri, anche di quelli che, finita questa esperienza del governo tecnico, dovrebbero scegliere in via definitiva l’attività politica. Del resto, più dura questo governo in carica e più l’impronta tecnocratica, che lo connotava all’inizio, tende a sbiadire.
La possibilità che personalità del mondo delle imprese e delle professioni scelgano la politica in pianta stabile non può che dare maggiore qualità alla vita politica, a condizione che costoro sappiano inserirsi in un sistema di partiti profondamente rinnovato, che diventino dirigenti politici veri, e quindi indisponibili ad offrire i propri servigi a qualunque maggioranza, che si diano da fare per rendere più competitivo il sistema paese e per garantire una crescita che abbia basi stabili, e che siano fermamente convinti che per l’economia valgono ancora i vincoli posti nel secolo passato dalle costituzioni democratiche. È accaduto in Spagna, è accaduto in Francia, ed anche in altri paesi,che dei bravi tecnici siano diventati non solo ottimi uomini di governo ma anche buoni dirigenti di partit; ciò potrebbe accadere anche in Italia.
Conclusosi il ciclo berlusconiano, con l’uscita di scena del Cavaliere, la cui figura ha caratterizzato l’intera vicenda della seconda Repubblica, non è pensabile che tutto il resto dell’universo politico rimanga uguale a se stesso, come se niente fosse avvenuto. Occorrono nuovi leader sia sul versante del centrodestra che su quello del centrosinistra. Ed occorre che anche in Italia si ricreino partiti o aggregazioni tra partiti che in qualche modo siano riconducibili, per i loro connotati culturali, alle tradizionali famiglie politiche europee. Finora l’Italia da questo punto di vista è stata un’anomalia, e di ciò non c’è certo da menare vanto.
Per cambiare i partiti occorre cambiare le persone. L’esperienza dei nuovi sindaci, candidatasi spesso a dispetto dei partiti, in questo senso dovrebbe insegnare qualcosa . Purtroppo, in questi ultimi vent’anni sono cambiati i partiti, nel nome e nei simboli, si sono avute svolte revisioniste a getto continuo, ma non sono cambiati i criteri di selezione del personale politico, e quindi le persone che nei partiti comandano. Fuori dall’Italia, invece, accade la cosa opposta; cambiano i leader in base alle alterne fortune dei partiti, ma non cambiano i partiti
.

SALVO ANDÒ

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